Democrazia Cristiana

 

Quest’anno celebreremo il centenario della nascita di due illustri esponenti della Democrazia Cristiana: Carlo Donat Cattin (Finale Marina, 26 Giugno 1919-Monte Carlo, 17 Marzo 1991) e Giulio Andreotti (Roma,14 Gennaio 1919-Roma, 6 Maggio 2013).

Gianni Conti mi ha sollecitato un ricordo di Carlo, di cui sono stato allievo e discepolo politico per tutta la vita vissuta nella DC dal 1964 in poi, provenendo anch’io, come Carlo, dall’esperienza sociale prima ancora che politica, nell’Azione Cattolica e nelle ACLI.

Di Carlo e della sua e nostra corrente di Forze Nuove ho scritto un saggio nel 1993, ultimo libro edito dalle edizioni Cinque Lune, la casa editrice della DC: “Il caso Forze Nuove” con prefazione di Franco Marini. In questi giorni preparando le celebrazioni che, a partire dall’omonima fondazione intitolata a Carlo Donat Cattin si terranno da Torino in varie parti d’Italia, sto rileggendo i numerosi libri che negli anni recenti sono stati dedicati alla figura e all’opera dell’illustre politico torinese.

Ne cito alcuni per chi volesse approfondire la conoscenza e l’opera di Donat Cattin: “ La mia DC”,, intervista a Carlo Donat Cattin di Paolo Torresani-Ed.Vallecchi; “ L’Italia di Donat Cattin” della Fondazione Donat Cattin-editore Marsilio con la raccolta del carteggio inedito sugli anni caldi della Prima Repubblica con Moro, Fanfani, Rumor, Forlani, Andreotti, Piccoli, Zaccagnini, Cossiga, De Mita (1960-1991); ”Carlo Donat Cattin- L’anticonformista della sinistra italiana- Intervista di Sandro Fontana di Nicola Guiso- Ed Marsilio;” Fuori dal coro” di Giorgio Aimetti- Carlo Donat Cattin dal sindacato allo statuto dei lavoratori ( 1948-1970)- Edizioni Lavoro; “ La sinistra sociale nella storia della Repubblica”, Fondazione Carlo Donat Cattin; “ La sinistra sociale” a cura di Giorgio Merlo e Gianfranco Morgando - Edizioni studium Roma. Già dai titoli di questi libri appare in tutta la sua grandezza, la personalità di uno dei più autorevoli esponenti della Democrazia Cristiana, il capo indiscusso della sinistra sociale del partito.

L’amico Ezio Cartotto, nel suo ultimo saggio:s “Gli uomini che fecero la Repubblica”- ed Sperling & Kupfer-definisce così Donat Cattin: “Il Grinta”, come il celebre personaggio del film western interpretato da John Wayne. Sì perché Carlo nella DC fu da sempre per tutti noi il più grintoso e indomito interprete delle “attese della povera gente”.

Donat Cattin inizia la sua esperienza politica partecipando attivamente alla Resistenza in Piemonte, schierandosi con i fazzoletti azzurri, la formazione di ispirazione cristiana comandata a livello nazionale da Enrico Mattei. Fu proprio in quegli anni che Carlo ci ricordò come, in clandestinità, si stampò all’Olivetti di Ivrea presso cui lavorava, la sua prima tessera da democratico cristiano insieme alla moglie Amelia, a testimonianza di una scelta politica e culturale che lo accompagnerà sino alla morte.

Dopo la Liberazione Carlo divenne il braccio destro di Giulio Pastore, il capo del sindacato di stampo democratico cristiano che, dopo l’attentato a Togliatti nel 1948 e il conseguente sciopero generale proclamato dalla CGIL, diede vita alla CISL. Furono quelli gli anni nei quali Paolo Bonomi organizzò il sindacato dei contadini della Coldiretti e della nascita delle ACLI, fondate da Achille Grandi, brianzolo, con cui collaborò sin dall’inizio, Vittorino Colombo che, in seguito guiderà con Donat Cattin la corrente della sinistra sociale della DC, “Rinnovamento”, prima e , poi, dal 1964, Forze Nuove.

Con l’introduzione del sistema proporzionale per l’elezione del consiglio nazionale della DC e il quasi contemporaneo utilizzo del manuale Cencelli per le nomine interne e di governo nacquero e si consolidarono, nel bene e nel male, quelle che sono state la quintessenza stessa della DC: le correnti.

Sorte come strumenti di aggregazione politico ideale all’epoca della nascita della corrente dorotea, quella in cui “i pallidi salmodianti della Domus Mariae” con Moro, Segni, Colombo e Rumor, decretarono la fine dell’era post degasperiana di Fanfani alla segreteria del partito, dopo la rottura di Iniziativa Democratica, noi che eravamo entrati agli inizi degli anni ’60 nel partito, di provenienza cattolica, cislina e/o aclista, ci ritrovammo naturaliter con la sinistra sociale della Democrazia Cristiana. Per intenderci la corrente di “Forze Nuove” nata alla vigilia del congresso di Roma del 1964, quello del mio primo incontro con Carlo Donat Cattin.

Fu quel suo impetuoso discorso contro Rumor e la sua relazione “vecchia e stantia”, due aggettivi ripetuti tra i fischi e gli applausi di una platea infiammata, che mi fece maturare l’idea che quella sarebbe stata la mia casa. E fu Forze Nuove per sempre.

In un partito che vivrà nei decenni successivi le tossine di aggregazioni sempre meno tenute insieme da ragioni ideali e sempre di più dalle mire del potere, noi fummo tra coloro che restarono fedeli all’idea di un partito diverso; un partito in cui i lavoratori di ispirazione cristiana potessero, da un lato, restare coerenti ai loro ideali e in grado di collegare i loro interessi e valori a quelli del ceto medio produttivo (questa saldatura resterà per sempre uno dei grandi meriti storici della DC), e, dall’altro, porsi in alternativa al classismo della sinistra egemonizzata dal PCI. Leader incontrastato per quasi trent’anni di questo gruppo, dopo l’esperienza congiunta sindacale e politica con Rapelli e Pastore, fu Carlo Donat Cattin, di cui fummo discepoli e amici per tutta la vita.

Nella buona e nella cattiva sorte, sempre pronti a seguirlo nelle battaglie più coraggiose che il nostro leader seppe condurre con permanente lucidità e lungimiranza, grazie ad un metodo di lavoro politico che resterà nella storia della DC, quale esempio, quasi solitario, di una partecipazione democratica e di elaborazione teorica e di organizzazione politica di grande spessore.

Fummo allevati alla scuola dell’impegno e della coerenza ai valori della dottrina sociale della Chiesa, alle ragioni dei lavoratori e dei ceti popolari, per i quali l’interclassismo dinamico cui ci ispiravamo, costituiva la base indiscutibile della nostra militanza politica.

E fummo, soprattutto, un gruppo unito e tra i più agguerriti del partito. Quelli che, con una felice immagine del caro e compianto Vito Napoli, furono descritti come i “vietcong della DC”, costretti a combattere con le cannucce a pelo d’acqua, nel vasto e limaccioso fiume di natura deltizia come la DC, progressivamente dominata dai moderati, nella stagione migliore e, poi, da quei “capaci, capacissimi, capaci di tutto”, che caratterizzarono la stagione più impervia e difficile, negli anni ’80 a dominanza demitiana dentro e fuori il Partito.

Dalle ragioni del primo centro-sinistra, a quelle della solitaria lotta con Aldo Moro nel tempo del doroteismo trionfante, sino alla battaglia contro l’ingresso del PCI al governo ( straordinario il suo intervento all’assemblea dei parlamentari DC in cui, solo alla fine, obtorto collo, come sempre fedele alle indicazioni strategiche di Aldo Moro, dovette soccombere alla prevalente realistica decisione dei gruppi) e a quella successiva che lo accompagnerà alla morte, con la grande intuizione del “preambolo” e della strenua difesa dell’alleanza tra la DC e i partiti di ispirazione laica e socialista.

Quell’alleanza ,sconfitta la quale, con il determinante concorso di “Mani Pulite”, siamo precipitati nella stagione perigliosa della cosiddetta “Seconda Repubblica” e, per una drammatica regressione politico culturale, a quella attuale caratterizzata dalla condizione prevalente di anomia sociale, etica, culturale, politica e istituzionale di questa terza repubblica dominata dalla non partecipazione e dal prevalere della deriva populista e nazionalista giallo verde.

Tracciare il bilancio di un’esperienza che ha coinciso, quasi perfettamente con quella stessa della nostra vita politica attiva, significa ripercorrere le innumerevoli occasioni di incontri, di dibattiti, di riunioni notturne romane e nelle nostre diverse realtà regionali e provinciali. Rivivere le ansie e le preoccupazioni di decine e decine di congressi provinciali, regionali e nazionali. Un’infinità di tempo sottratto alla famiglia, agli impegni di studio e professionali, per dedicarsi pressoché totalmente e gratuitamente alla testimonianza di una militanza e di una fedeltà mai venute meno.

Da Carlo abbiamo imparato la lezione di una politica ancorata agli ideali, fatta di approfondimento teorico, esercitato nelle lunghe discussioni e nel confronto anche duro e permanente tra di noi, e di esercizio pratico, alle prese di un partito in cui si doveva fare i conti con le tessere, con le preferenze, con le inevitabili tentazioni non sempre commendevoli del potere.

Noi che abbiamo avuto la fortuna, se non proprio il merito considerato che mai esercitammo autentici ruoli di potere, di restare sempre al di qua dei limiti corretti dell’esercizio onesto della politica, possiamo a pieno titolo testimoniare con quanta straordinaria coerenza Donat Cattin, anche su questo fronte, seppe rappresentare per molti di noi un modello di vita e di positivo riferimento.

Non estraneo né insensibile al richiamo del potere, senza del quale la politica si riduce a mera testimonianza, Donat Cattin seppe sempre far prevalere le ragioni ideali. Lo fece quando, in più occasioni, gli aiuti finanziari che, certo, non mancarono alla nostra come alle altre ben più attrezzate correnti, per sua insindacabile decisione andavano a sostenere la voce democratica della “Gazzetta del Popolo “ di Torino piuttosto che le nostre talora petulanti richieste di aiuto per il tesseramento, nel quale rincorrere i dorotei et similia era per noi una partita persa in partenza, come “ giocare a poker con l’Aga Kahn”….

O quando, ed era il suo cruccio e il suo impegno costante, si trattava di tenere in piedi riviste che hanno fatto la storia politica e culturale della DC, da “Sette Giorni” a “Terza Fase”. Per non dimenticare i nostri appuntamenti annuali di Saint Vincent, uno dei pochi momenti di approfondimento culturale e politico aperto a tutte le idee dentro e fuori della DC. Furono questi gli strumenti e le occasioni in cui si formò e visse la nostra generazione politica. Quella dei giovani del 1964 che rimasero con Carlo sino alla fine.

Con lui soffrimmo il dramma di un padre colpito negli affetti più cari, prima, dalle vicende brigatiste del figlio Marco, le cui colpe gli furono fatte così pesantemente pagare sul piano politico e, poi, direttamente al suo cuore, dopo l’incidente mortale dello stesso figlio, viatico inevitabile di quella morte in ospedale a Montecarlo che ci ha lasciati drammaticamente soli e senza più guida.

Nel mio studio conservo una foto ingrandita che guardo ogni giorno con commozione nel momento in cui mi accosto al computer: Carlo ha il capo chino, davanti a me e a Sandro Fontana, mentre mi sta dando le ultime istruzioni per l’imminente intervento che, come sempre, era obbligatorio fare ad ogni consiglio nazionale.

Tante volte, quella perentoria e indiscutibile sollecitazione, a noi sembrava se non superflua , almeno inopportuna, , ma il vecchio Capo insisteva ed a lui non si poteva dire di no: “ vai e intervieni”, anche perché, se ne chiedevi la ragione la risposta, tra il serio e il faceto, era disarmante: “ la truppa bisogna tenerla sempre allenata”…….

Meditare su figure straordinarie come quelle di Carlo Dont Cattin in questa terribile fase di decadenza politica e culturale, rende ancor più importante la nostra battaglia che, dalla fine politica della DC, stiamo combattendo per ricomporre l’area politica di ispirazione cattolica e democratica cristiana, che, io credo, sarebbe quella che anche Donat Cattin ci inviterebbe a compiere, nella coerente fedeltà a ideali e valori che ci hanno accomunato a lui per tutta la vita.

Ettore Bonalberti

V. segretario nazionale DC

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