Si é aperto un salutare confronto tra le anime della Democrazia Cristiana. Oltre agli adempimenti tecnici in vista delle prossime elezioni regionali, mi auguro che l’Unione dei Demcoratici Cristiani ritrovi le “le buone abitudini” che furono di Alcide De Gasperi, di Luigi Sturzo e di quanti (tanti!) hanno fatto grande e bella la Democrazia Cristiana. Infatti personalmente credo che per riprendere la via democristiana ed eticamente popolare e coniugarla nel contesto socio culturale del terzo millennio sia indispensabile domandarsi: “Come? Con quale metodo?”

Dal momento che i protagonisti dell’Unione hanno tutti la stessa matrice il pensiero non può che andare alle origini riconsiderandole e  ri-adattandole all’oggi. Il principio dell’incarnazione, infatti, deve essere sempre ben presente per non creare “un corpo estraneo e nostalgico” che non abiti la storia di oggi!

Ma, fedeli al principio dell’essere prima che del fare, occorrerà un bagno di grande umiltà per immergersi nei valori fontali e istitutivi della DC. Insomma riscoprirne l’anima; andare alle radici; oggi si direbbe, con un orribile fonema anglosassone, riesaminare la mission!  

Il primo impegno della Unione dei Democratici Cristiani è quello dell’impegnarsi tra gli uomini e in favore degli uomini, senza ambizioni e senza pretese. Si tratta di una “retorica dell’anima”, che da senso alla suggestiva idea di realizzare l'incarnazione storica e politica del cristianesimo attraverso la costruzione di una società ispirata ai valori della giustizia e della solidarietà, fedeli al patrimonio fondamentale del cattolicesimo democratico in favore di tutto il Paese che incarnarono Alcide De Gasperi e Luigi Sturzo.

Si tratta ora di non perdere nulla dello spirito di allora pur attuandolo e situandolo nella cultura contemporanea complessa e difficile da qualcuno definita “liquida”. Lo spirito di allora, incarnato nell’oggi, farà sì che l’ Unione dei Democratici Cristiani  sia la coscienza critica di questo Paese sempre più alla deriva non solo in quanto a valori, ma anche in quanto a progettualità e prospettive.

Essenziale sarà la riscoperta di una ideologia forte e autonoma che si ispiri con convinzione ai principi della Dottrina Sociale della Chiesa e dell’Umanesimo Cristiano, superando ogni idea di posizionamento geometrico e le costruzioni tradizionali del mondo della politica. Lo schema della contrapposizione tra destra e sinistra non è più sufficiente a leggere il nostro tempo. La “vecchia” concezione dei partiti che si dividevano la destra, la sinistra e il centro, comprese le “estreme” di destra e di sinistra, non possono interpretare l’identità piena del Partito dell’ Unione dei Democratici Cristiani che intende proporsi non già per una posizione geografica da occupare.

L’opinione pubblica, in particolare il mondo giovanile dimostrano spesso disaffezione, disinteresse e sfiducia verso la politica e concordano nel rifiuto di collocarsi sull’asse destra-centro-sinistra. Anche per questo l’ Unione dei Democratici Cristiani deve costruire un’alternativa del tutto nuova. Deve essere un soggetto capace di parlare a tutti gli italiani, proponendo “la posizione” dell’ Unione dei Democratici Cristiani centrata sui valori e gli ideali che intende incarnare e che sono stati gli imperituri principi, gli alti ideali e le fonti delle origini.

Al riguardo l’impegno dell’ Unione dei Democratici Cristiani sarà quello di favorire il confronto e il dialogo che costituiscono il modo di costruire una efficace democrazia interna, che oggi è un requisito indispensabile per svolgere legittimamente ogni esperienza religiosa autentica integra al proprio interno passioni ed emozioni profonde, non solo quelle di ordine più squisitamente mistico (il rapporto con Dio), ma anche quelle relative a identità e appartenenza. Per queste comunità, intraprendere la via del confronto e del dialogo, al proprio interno e con quelle di altra confessione, è la via per sfuggire al settarismo e all’integralismo e un valido modo per offrire un contributo prezioso alla società di cui fanno parte.

Dovremmo essere tutti convinti e persuasi che l’ Unione dei Democratici Cristiani o sarà il soggetto che attualizzerà in ogni ambiente la Dottrina Sociale della Chiesa e l’Umanesimo Cristiano o non sarà!   

Questi orientamenti di buon cammino consentiranno alla Unione dei Democratici Cristiani di ri-trovare e ri-creare i presupposti di un dialogo continuo con l'opinione pubblica. Il partito deve poter dare una risposta alle domande che provengono dal Paese, assolvendo a una funzione di chiaro indirizzo che attinga ispirazione e orientamenti nelle istanze e nelle radici culturali che affondano nella migliore e più grande tradizione del pensiero politico cattolico contemporaneo, fatta sempre salva la laicità del Partito.

Di fronte ai fermenti che attraversano la società occorre dare una risposta chiara e di riferimento; ma questo costringe tutti i democratici cristiani a fare un salto di qualità, uno sforzo di adeguamento per dare spazio e sbocco politico a quest'ansia di rinnovata autenticità.

La coscienza critica quale intende essere l’ Unione dei Democratici Cristiani per il Paese, deve considerare la cultura di un popolo che è ricerca e intelligenza, impegno per il rinnovamento del costume civile, e animare nella coscienza dei popoli le ipotesi e le utopie che saranno storia di domani.

Ma al contempo non  potrà trascurare la realtà economica e sociale italiana la cui indubitabile crisi sta provocando un malessere  che fortemente e dolorosamente segnano l’attuale momento storico del Paese.

L’ Unione dei Democratici Cristiani deve riferirsi a quella straordinaria umanità che da sempre ha evidenziato la sua forza d'animo e il suo coraggio. Occorrerà trovare nelle migliori energie e nel costume antico del nostro popolo il sostegno morale e civile per interpretare questa società nuova non è facile. Per questo sarà necessaria l’unità di un partito saldo nella sua ispirazione di fondo, coerente alla sua tradizione popolare, ancorato a irrinunciabili valori di moralità pubblica e di rinnovamento civile. Giovi ricordare, al riguardo due indicazioni precise. Don Luigi Sturzo ha specificato che democrazia cristiana si chiama così non intendendo indicare “l’idea dello Stato confessionale, né di un regime teocratico. Indica, invece, un principio di moralità, la morale cristiana applicata alla vita politica del paese” (Opera omnia, II-9, p.42). Alcide De Gasperi ha ribadito analogo principio: “Uno dei compiti fondamentali del nostro partito è la moralizzazione del costume politico. Ogni manifestazione, quindi, in contrasto con questa essenziale funzione dovrà essere nettamente combattuta (Prima Circolare di De Gasperi al partito, 29 Giugno 1944).

Le grandi trasformazioni sociali, economiche, culturali e politiche che attendono il nostro Paese dopo la precarietà della gestione politica recente esige da parte nostra responsabilità, fiducia piena nella democrazia, nella giustizia sociale e nel confronto delle idee. La luce della Dottrina sociale della Chiesa e dell’Umanesimo cristiano favoriranno e orienteranno criteri indicativi validi per la moralizzazione della vita pubblica, il senso del diritto, la disciplina dell’azione e dei rapporti politici per una vera etica della politica.

L’etica della politica è un tema ricorrente e altalenante. Ogni tanto acquista senso e significato, in altri momenti è silente. Gli è che davvero è troppo poco vissuto.

Ma che cosa si intende per etica politica? Essa non si occupa delle azioni individuali, ma delle azioni attraverso le quali gli individui raccolti in comunità politicamente organizzata danno forma alla vita comune dal punto di vista costituzionale, giuridico, amministrativo, economico, educativo, ecc.

Max Weber distingueva due polarità dell’etica: quella dei principi e quella delle responsabilità.

L’etica dei principi si riferisce alla premessa.

L’etica delle responsabilità mira alle conseguenze dell’agire.

Non v’è dubbio che la politica si basi soprattutto sul proclamare i principi e considerare di meno le conseguenze delle proprie scelte. L’ Unione dei Democratici Cristiani deve privilegiare il proprium dell’azione politica, piuttosto che limitarsi alla proclamazione dei principi. Si tratta indubbiamente di una difficile impresa, ma non si potrà prescindere dal concepire e attuare un programma fatto di priorità, di risorse, di regole necessarie a mettere in pratica e contemperare sempre meglio, nel tempo e nei diversi ambiti sociali e territoriali, principi che siano universalmente accettati.

La politica potrà arginare le ambiguità cui sembra destinata se porrà a fon­damento di se stessa il rispetto di leggi comuni e l’osservanza di principi etici, rimettendo in gioco la nozione stessa di “coscienza morale”.

Mi ha sempre colpito il fatto che Aristotele avesse chiamato la filosofia pratica complessivamente "scienza politica", in quanto il bene della pólis comprende quello del singolo individuo. Essa contiene dunque anche l'etica, che è la parte dedicata al bene del singolo. La politica, infatti, trova la sua ragion d’essere nel costruire il bene della “polis”, ossia della città in cui gli uomini e le donne quotidianamente abitano.

Ho ritrovato di recente alcune righe che Alcide De Gasperi ha indirizzato poco prima della sua morte a Oscar Luigi Scalfaro. Vi si legge: «Quello che dobbiamo soprattutto trasmettere l’uno all’altro è il senso del servizio del prossimo, come ce l’ha indicato il Signore, tradotto e attuato nelle forme più larghe della solidarietà umana, senza menar vanto dell’ispirazione profonda che ci muove e in modo che l’eloquenza dei fatti tradisca la sorgente del nostro umanitarismo e della nostra socialità».

L’insegnamento è che nella vita come nella politica, il bene si riconosce dai frutti, non dalle radici; dalle realizzazioni, non dai proclami. La qualità̀ della politica è legata alla qualità̀ umana di chi si impegna in essa.

Non dimenticando mai che anche dopo aver responsabilmente soppesato le probabili conseguenze, rimangono elementi di rischio ai quali, in ultima analisi, risponde la coscienza etica di chi deve prendere una decisione, alla luce dei principi che la ispirano.

Si innesta qui un altro tema assolutamente imprescindibile: il bene comune che è il fine supremo della politica; ossia quel bene della comunità che, considerata nel suo complesso organico, trascende i beni particolari. Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa scrive: “Secondo una prima e vasta accezione, per bene comune s'intende l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente … Come l'agire morale del singolo si realizza nel compiere il bene, così l'agire sociale giunge a pienezza realizzando il bene comune. Il bene comune, infatti, può essere inteso come la dimensione sociale e comunitaria del bene morale” (DSC 164).

Se la giustizia sociale ci fa rispettare il bene comune, solo la carità sociale ce lo fa amare. La carità, che vuol dire amore fraterno, é il motore di tutto il progresso sociale. Per questo il Papa Paolo VI, maestro dei primi democristiani, definì la politica “la più alta forma di carità”. In verità il primo a esprime questo concetto fu Pio XI (Achille Ratti) che rivolgendosi ai dirigenti della Federazione Universitaria Cattolica disse: “E tale è il campo della politica, che riguarda gli interessi di tutte le società, e che sotto questo riguardo è il campo della più vasta carità, della carità politica, a cui si potrebbe dire null’altro, all’infuori della religione, essere superiore ... Tutti i cristiani sono obbligati a impegnarsi politicamente. La politica è la forma più alta di carità, seconda sola alla carità religiosa verso Dio”. (18 dicembre 1927. Il testo è reperibile in: L’Osservatore Romano, 23 dicembre 1927, n. 296).  

Alcide De Gasperi giudicò sempre la sua attività politica e il suo impegno sociale come “missione”, ispirati dagli ideali cristiani. 

Secondo il concetto aristotelico la politica ha proprio come fine il bene comune, ossia la totalità delle condizioni che permettono il progresso di tutti i cittadini. Se dunque la politica è la capacità di produrre il bene comune, qual è il suo rapporto con l’etica? Occorrerà ricordare sempre che l’intenzione di perseguire il bene comune non basta a determinare univocamente l’azione politica. La politica non è solo volere il bene comune, ma anche scegliere il percorso con cui raggiungerlo. Per un rapporto sano fra etica e politica non basta avere come fine il bene comune, si deve anche possedere una buona conoscenza dei problemi di cui ci si deve occupare e una buona competenza per la loro soluzione.

Già 50 anni fa Giovanni XXIII, nell’enciclica Pacem in Terris, ricordava che “non basta essere illuminati dalla fede ed accesi dal desiderio del bene per penetrare di sani principi una civiltà e vivificarla nello spirito del Vangelo … non ci si inserisce nelle istituzioni e non si opera con efficacia dal di dentro delle medesime se non si è scientificamente competenti, tecnicamente capaci, professionalmente esperti”.

Etica e politica debbono tornare a recuperare la loro funzione primaria, tenendo sempre ben presente che la questione del rapporto fra etica e politica non è diverso dal problema del rapporto fra la morale e tutte le altre attività dell’uomo. In fondo  si tratta della vexata quaestio della distinzione fra ciò che è moralmente lecito e ciò che è moralmente illecito.

Papa Francesco ha usato parole forti per richiamare i politici: «La complessità della vita politica italiana e internazionale necessita di fedeli laici e di statisti di alto spessore umano e cristiano per il servizio al bene comune».

Mi piace concludere con il sempre attuale settenario di Gandhi, che sembra riassumere gli intenti descritti e auspicati:

1. l’uomo si distrugge con la politica senza principi.

2. l’uomo si distrugge con la ricchezza senza lavoro.

3. l’uomo si distrugge con l’intelligenza senza il carattere.

4. l’uomo si distrugge con gli affari senza morale.

5. l’uomo si distrugge con la scienza senza umanità.

6. l’uomo si distrugge con la religione senza la fede.

7. l’uomo si distrugge con la carità senza il sacrificio di sé.

A tale settenario gandhiano fa eco al testamento di Alcide De Gasperi. Due giorni prima di morire nella sua casa di Sella in Valsugana confidò alla figlia Maria Romana: “Adesso ho fatto tutto ciò che era in mio potere, la mia coscienza è in pace. Vedi, il Signore ti fa lavorare, i permette di fare progetti, ti dà energia e vita, poi, quando credi di essere necessario, indispensabile al tuo lavoro, ti toglie tutto improvvisamente. Ti fa capire che sei soltanto utile, ti dice: ora basta, puoi andare. E tu non vuoi; vorresti presentarti al di là con ii tuo compito ben finito e preciso. La nostra piccola mente umana ha bisogno delle cose finite e non si rassegna a lasciare ad altri l’oggetto della propria passione incompiuto”.

 

E, dunque: coraggio! Prepariamoci a vivere la politica come espressione massima della carità al servizio del bene comune. Impegnarsi a fare bene il bene è lo slogan che può fare da corona alla nostra riflessione.

Sostenga tutti, in questo cammino unitario, il convincimento del Servo di Dio Alcide De Gasperi: «Non abbiamo il diritto di disperare dell’uomo, né come individuo né come collettività; non abbiamo il diritto di disperare della storia, poiché Dio lavora non solo nelle coscienze individuali, ma anche nella vita dei popoli». (Discorso di Bruxelles, 1948)

 

Teofilo

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